A cura della Redazione di "Opera Italica".
L'Italia è la terza potenza mondiale per riserve auree, un patrimonio da oltre 137 miliardi di euro. Una ricchezza costruita col sudore dei nostri padri, oggi avvolta da un velo di silenzio impenetrabile. Opera Italica scava più a fondo, svelando la storia, i dettagli e le scomode verità di un tesoro che appartiene al Popolo, ma di cui la classe dirigente ha paura persino di pronunciare il nome.
Nel pantheon delle grandi narrazioni nazionali, quella delle riserve auree italiane è una pagina strappata, un capitolo deliberatamente omesso. Mentre il Paese viene quotidianamente flagellato da notizie su debito, spread e austerità, un dato di segno opposto, un dato di immensa forza e orgoglio, viene relegato nell'oscurità più totale.
Ribadiamolo, perché la cifra è di per sé un atto politico: l'Italia detiene 2.451,8 tonnellate di oro zecchino. Un tesoro che, al valore di mercato odierno, si traduce in 137.476.442.940 euro. Questo ci colloca al terzo posto nel mondo dopo Stati Uniti e Germania, e primi nell'Eurozona se si esclude la Banca Centrale Europea stessa. Un primato che dovrebbe essere fonte di sicurezza e vanto, ma che è diventato un imbarazzante segreto di famiglia.
Le Radici Storiche di un Tesoro: il "Miracolo" Fatto Lingotto
Come ha fatto un Paese come l'Italia, uscito in ginocchio dalla Seconda Guerra Mondiale, ad accumulare una simile fortuna? La risposta risiede nella nostra storia, nel genio e nel sacrificio del popolo italiano durante il "miracolo economico".
Tra gli anni '50 e '60, l'Italia divenne una potenza esportatrice. I prodotti italiani – dalla meccanica alla moda, dagli elettrodomestici alle automobili – conquistarono il mondo. Questo generò enormi surplus commerciali: il Paese incassava valuta pregiata, soprattutto dollari americani. Sotto la guida illuminata di governatori della Banca d'Italia come Donato Menichella e, successivamente, Guido Carli, fu attuata una politica lungimirante: convertire sistematicamente parte di quei dollari in oro.
Non si trattava di un'arida speculazione finanziaria, ma di una scelta strategica di sovranità. L'oro, bene rifugio per eccellenza, avrebbe garantito la stabilità della Lira e protetto l'economia nazionale dalle turbolenze internazionali. Quell'oro, lingotto dopo lingotto, è la materializzazione del lavoro dei nostri nonni, la garanzia che loro vollero lasciare ai propri figli e nipoti.
Dove si Trova e Com'è Fatto l'Oro degli Italiani?
Questo patrimonio non è un'entità astratta. È fatto di lingotti fisici, tangibili, di una purezza quasi assoluta (superiore a 995 millesimi). La maggior parte è in formato "standard", il cosiddetto Good Delivery, con un peso che varia tra gli 11 e i 13 kg per lingotto.
La sua custodia, come già accennato, è strategicamente diversificata:
1.199,4 tonnellate (circa il 49%) sono custodite a Roma, nei caveau sotterranei della Banca d'Italia, nel cuore di Palazzo Koch.
1.204,1 tonnellate (circa il 49%) si trovano a New York, nei sotterranei della Federal Reserve. Questa scelta, risalente al dopoguerra, era dettata dalla necessità di operare sul mercato del dollaro, allora come oggi principale valuta di scambio.
Una quantità minore è depositata a Londra (presso la Bank of England) e a Basilea, in Svizzera (presso la Banca dei Regolamenti Internazionali).
È fondamentale sottolineare un aspetto giuridico cruciale, confermato da una legge del 2014: la proprietà delle riserve è dello Stato Italiano. La Banca d'Italia ne è la custode e gestore per conto della Nazione. Appartiene a noi, al Popolo Italiano.
Il Paradosso Italiano: Ricchissimi d'Oro, Poveri di Dibattito
Il silenzio sull'oro diventa ancora più assordante se si analizza un altro dato. Le nostre 2.451,8 tonnellate rappresentano quasi il 65% delle riserve valutarie totali del Paese. È una percentuale altissima, tra le più elevate al mondo. Per fare un paragone, le riserve auree degli Stati Uniti, seppur maggiori in termini assoluti (oltre 8.000 tonnellate), rappresentano una quota simile delle loro riserve totali. La Germania, seconda in classifica, ha una percentuale leggermente superiore alla nostra. Nazioni come la Cina o il Giappone, pur essendo giganti economici, hanno percentuali di oro sulle riserve totali irrisorie in confronto.
Questo significa che l'oro, per l'Italia, non è solo un asset tra tanti, ma l'asset strategico per eccellenza. È la nostra vera, ultima polizza assicurativa. E proprio per questo, il silenzio che lo circonda puzza di bruciato. Le ipotesi che avevamo avanzato si rafforzano:
Tabù Geopolitico e Pressioni Esterne: Parlare dell'oro significa evocare la nostra sovranità ultima. In un'Europa dominata da vincoli di bilancio e cessioni di sovranità monetaria, ricordare di possedere un'alternativa strategica indipendente è un atto quasi sovversivo. È nell'interesse di Bruxelles, Francoforte e Washington che quel tesoro resti "dormiente" e fuori dalla mente degli italiani.
La Paura delle Domande del Popolo: La classe dirigente teme il risveglio della coscienza popolare. Se gli italiani sapessero di questa ricchezza, come giustificare i tagli alla sanità, le pensioni misere, le tasse asfissianti? La narrazione dell' "Italia povera e indebitata" crollerebbe di schianto, sostituita dalla consapevolezza di un'Italia ricca ma mal gestita, o peggio, volutamente tenuta sotto scacco.
Un Dibattito Soffocato sul Nascere: Non è che nessuno ci abbia mai provato. In passato, alcune forze politiche, definite sbrigativamente "populiste", hanno timidamente tentato di aprire il dibattito. La proposta di utilizzare una minima parte dell'oro per evitare un aumento dell'IVA o per investimenti pubblici è stata immediatamente bollata come un'eresia, un sacrilegio. I custodi dell'ortodossia finanziaria – media, accademici e politici "responsabili" – hanno eretto un muro di gomma, ridicolizzando l'idea e chiudendo ogni spiraglio di discussione.
Sovranità o Zavorra? Una Domanda non più Rinviabile
L'oro d'Italia non è una reliquia del passato. È un'arma di deterrenza economica, una leva di potere contrattuale, una fonte di stabilità. Potrebbe essere usato come collaterale per ottenere prestiti a tassi irrisori, finanziando un grande piano di rilancio nazionale senza dover subire i ricatti dello spread. Potrebbe, in scenari estremi, essere la base per una nuova sovranità monetaria.
Non stiamo suggerendo di svenderlo o di dar fondo al tesoro della Nazione per finanziare spesa corrente. Questo sarebbe sciocco e miope. Stiamo chiedendo qualcosa di molto più semplice e fondamentale in una democrazia: trasparenza e dibattito.
Gli italiani hanno il diritto di conoscere la loro vera forza. Hanno il diritto di discutere, in modo maturo e informato, quale debba essere il ruolo strategico di questo immenso patrimonio. Lasciarlo sepolto sotto una coltre di silenzio e omertà non significa proteggerlo, ma renderlo inutile. Significa trasformare la nostra più grande risorsa in una zavorra inerte.
Opera Italica continuerà a porre la domanda, finché non otterrà risposta: chi ha paura dell'oro degli italiani e perché? È tempo che questo tesoro smetta di essere silente e torni a essere ciò per cui è stato creato: il simbolo e la sostanza della forza e dell'indipendenza della Nazione.
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